L’Iraq è un paese prevalentemente musulmano la cui società – come spesso accade in Medio Oriente – si presenta come un mosaico etnico e religioso. Una caratteristica peculiare dell’Iraq sta tuttavia nel fatto che le due maggiori sette dell’Islam sono rappresentate in maniera più bilanciata che in molti altri Stati della regione: circa tre quinti della popolazione sono infatti sciiti e circa due quinti sono sunniti.
A seguito della guerra in Iraq del 2003 e della caduta del regime di Saddam Hussein, il paese ha affrontato un difficile percorso di riforma politica che ha visto l’introduzione di istituzioni parlamentari e l’organizzazione di elezioni. In questo nuovo panorama anche le diverse comunità etniche e religiose del paese hanno iniziato a cercare nuovi strumenti e forme di partecipazione politica per affermare le loro prerogative.
Tra i partiti che sono sorti nel nuovo sistema, e che hanno partecipato alle elezioni che hanno avuto luogo lo scorso ottobre, è interessante segnalare il movimento sadrista, un influente partito sciita nato nel 2003 e guidato da Muqtada al-Sadr, un clerico sciita fortemente contrario alla presenza di truppe straniere in Iraq.
Al-Sadr, nato nel 1974 a Najaf in Iraq, è considerato una delle figure politiche più potenti nel paese all’inizio del Ventunesimo secolo. La sua fama e il suo potere sono legati anche al background della sua famiglia. Suo padre, il grande ayatollah Mohammed Sadiq al-Sadr, rappresentò il dissenso diffuso tra la maggioranza sciita oppressa dal dittatore Saddam Hussein (che era un musulmano sunnita), e fu ucciso dal regime nel 1999. Muqtada al-Sadr beneficia dunque dello status di martire e dell’autorità religiosa di suo padre, nonché della reputazione di suo suocero, l’ayatollah Muhammad Baqir al-Sadr, fondatore del partito islamico Daʿwah, che nel 1980 fu giustiziato per la sua opposizione a Saddam Hussein. La famiglia di al-Sadr è inoltre legata all’imam Musa Sadr, esponente religioso sciita nato in Iran e formatosi nelle città di Qom, Teheran e Najaf. Musa Sadr si distinse inoltre per la sua intensa attività politica e sociale in Libano, dove nel 1974 fondò il partito politico sciita al-Amal (“la speranza”) prima di scomparire misteriosamente in Libia nel 1978 sotto il regime di Muammar Gheddafi. Ancora oggi Musa Sadr ha diversi seguaci in Medio Oriente, in particolare in Iran, Libano e Iraq.
Dopo la caduta del partito Baʿath di Saddam Hussein, nel dicembre 2003, in un Iraq occupato dalle forze statunitensi, la Coalition Provisional Authority (Cpa), guidata dal diplomatico americano Paul Bremer, assunse il governo del paese. L’obiettivo principale della Cpa era mantenere la sicurezza e favorire lo sviluppo della democrazia in Iraq, cuore del Medio Oriente.
Il programma della Cpa era decisamente ambizioso – e per molti versi poco realistico – e non ebbe successo per via di diverse problematiche, tra cui la presenza di vari gruppi di resistenza formati da combattenti sia iracheni che provenienti da altri paesi arabi e islamici, di esponenti dell’ex regime di Saddam e di militanti appartenenti a un ramo della rete di al-Qaeda nota come “al-Qaeda in Iraq” (Aqi). A questo quadro di conflitto si aggiunsero gli scontri tra le forze della coalizione guidata dagli USA e i seguaci di Muqtada al-Sadr, attivi a Baghdad e in altre importanti città sciite, come Najaf e Karbala. Il movimento sadrista diventò dunque famoso a partire dal 2003 per la sua opposizione alle forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti in Iraq. Allo stesso scopo, Sadr fondò anche la milizia sciita Jaysh al-Mahdi (Jam).
Nel gennaio 2005 si svolsero in Iraq le elezioni generali per la nuova Assemblea nazionale di transizione – sostanzialmente il nuovo Parlamento iracheno – composta da 275 membri. Nell’aprile dello stesso anno il nuovo Parlamento votò per l’elezione del presidente dell’Iraq, il leader curdo Jalal Talabani del partito di Unione patriottica del Kurdistan (Upk), e di due vicepresidenti, Adel Abdul Mahdi, sciita del partito Supremo consiglio islamico iracheno, e Ghazi al-Yawar, sunnita del partito Iracheni. Questi tre leader – che formavano il Consiglio di presidenza – nominarono a loro volta come Primo ministro il leader sciita Ibrahim al-Jaafari del partito Da’wah Islamiya. Nelle elezioni del dicembre 2005, membri del movimento di Sadr si presentarono in uno schieramento composto anche da altri partiti sciiti noto come Alleanza unita irachena, formazione che ottenne il numero più alto di seggi (128 su 275) in Parlamento, di cui 32 posti assegnati ai sadristi.
La Costituzione del 2005 ha definito l’Iraq come uno Stato federale unitario con un sistema di governo “repubblicano, rappresentativo, parlamentare e democratico”. Potremmo dire che a partire dal 2005 il sistema politico iracheno si è basato su una forma di “democrazia settaria” in cui il potere viene suddiviso tra i tre gruppi religiosi ed etnici maggioritari: sciiti, sunniti e curdi. Tuttavia l’Iraq post-Saddam ha vissuto diverse fasi di violenza e sanguinosi conflitti settari.
Attualmente i sadristi hanno una presenza maggioritaria in primis nelle città sciite dell’Iraq come Najaf, Karbala e Basra, oltre che a Baghdad, in particolare nella zona della capitale nota come Sadr City. Nelle fasi più aspre della guerra civile Muqtada al-Sadr cercò di mantenere una stretta sicurezza nelle aree che controllava e istituì un sistema giudiziario basato sulla legge islamica, la Shari’a. La milizia Jaysh al Mahdi contribuì in modo fondamentale alla difesa degli sciiti negli scontri settari, in particolare a Sadr City.
Nel 2008, contro il volere di Sadr, la milizia Jaysh al Mahdi, fu sciolta dalle autorità irachene. Da quel momento in poi al-Sadr decise di allontanarsi dalla politica e partì per l’Iran per proseguire la sua formazione religiosa e giuridica a Qom, con l’obiettivo di diventare un mujtahid – un esperto con la riconosciuta capacità di emettere decreti religiosi. Tuttavia non completò mai gli studi. Allo stesso tempo Sadr decise di trasformare la sua milizia in una “forza culturale e religiosa”, un’associazione che divenne nota come Momahidoun, che in arabo significa “coloro che aprono la strada” – una nuova identità, insomma, creata per guidare una jihad intellettuale e per rafforzare la sua leadership a livello spirituale.
Negli ultimi anni l’organizzazione politica di Sadr, il movimento Sadrista, è riuscita gradualmente a incardinarsi nell’apparato statale iracheno. I suoi membri hanno assunto incarichi di alto livello all’interno dei ministeri dell’Interno, della Difesa e delle Comunicazioni, entrando inoltre in una serie di enti governativi fondamentali nella struttura della società.
A seguito della sconfitta dello Stato islamico (anche noto come Isis) nel 2017, si è assistito a una ripresa degli scontri tra le forze americane e alcune milizie irachene sostenute dall’Iran, come Kata’ib Hezbollah, che avevano di fatto cooperato contro l’Isis. La situazione ha conosciuto un peggioramento soprattutto a seguito dell’assassinio in territorio iracheno di Qasem Soleimani, il generale iraniano che comandava la Forza Quds, e di Abu Mahdi al-Muhandis, comandante del Kata’ib Hezbollah, nel gennaio 2020, e di una risoluzione del Parlamento iracheno favorevole all’espulsione delle truppe statunitensi in seguito agli attacchi missilistici iraniani alle basi militari utilizzate dagli Stati Uniti.
Nel dicembre 2020, Sadr, che era sospettato di avere forti legami con le forze iraniane operanti in Iraq, ha cercato di trarre profitto dalla situazione per rientrare nell’arena politica e rafforzare le credenziali “nazionali” del movimento sadrista, ed ha perciò intimato sia all’Iran che agli Stati Uniti di non coinvolgere l’Iraq nel loro conflitto.
Fin dal 2003, inoltre, il movimento aveva attratto milioni di seguaci sciiti in tutto l’Iraq, principalmente giovani, poveri ed emarginati, ai quali aveva offerto una varietà di servizi sociali, educativi, sanitari ed economici. I leader del movimento hanno costantemente specificato che il loro sostegno appartiene a tutto il popolo iracheno, e non solo al gruppo religioso sciita. Quello settario è infatti visto sempre più come un metodo di governo inefficiente, oltre ad essere il carburante per la corruzione dilagante nella società irachena.
Il movimento sadrista ha inaspettatamente conosciuto una crescita dei consensi nelle elezioni parlamentari del maggio 2018, organizzate subito dopo la sconfitta dell’Isis nel territorio iracheno. Si è trattato per molti versi di una vittoria a sorpresa, da parte di un’improbabile coalizione che comprendeva comunisti, laici, sunniti e sciiti guidata da Sadr. La sua coalizione ha vinto in quell’occasione 54 seggi, più di qualsiasi altra formazione, ma non sufficienti per ottenere la maggioranza nella legislatura – essendo il Parlamento composto da 329 seggi. Pertanto, a seguito delle elezioni del 2018 Sadr si è alleato politicamente con Haider al-Abadi, il cui partito è arrivato terzo, per ottenere la maggioranza.
Lo stesso scenario si è ripetuto nell’ottobre 2021, e questa volta il movimento sadrista, con la nuova strategia volta a puntare sui sentimenti nazionalisti iracheni, ha ottenuto un ulteriore incremento, 73 seggi su 329, e si è confermato prima forza politica del paese. Bisogna notare che, sui 40 milioni di abitanti dell’Iraq, circa 24,9 milioni potevano votare e solo il 41% degli elettori ha effettivamente votato nell’ultima elezione, segnando comunque un’affluenza alle urne record per gli standard iracheni, leggermente inferiore a quella delle elezioni del 2018, che hanno registrato un’affluenza del 44,5%. I risultati ribadiscono tuttavia che la bassa affluenza alle urne riflette la mancanza di fiducia degli elettori nella capacità o nella volontà dell’attuale classe dirigente di tenere elezioni trasparenti.
Il risultato delle elezioni di ottobre è stato fortemente contestato e ha dato luogo a manifestazioni di piazza. Tuttora, i risultati delle elezioni dimostrano che gli equilibri politici sono nelle mani dei gruppi sciiti della lista di Muqtada al-Sadr e dell’Alleanza Fatah guidata dal leader paramilitare Hadi al-Ameri, vicino all’Iran.
Shirin Zakeri
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